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Ricchi e buoni. Il concetto di filantrocapitalismo

Nicoletta Dentico nel suo nuovo libro porta alla luce la capillarità di un nuovo sistema al cui vertice sta quell’1% della popolazione mondiale e che detiene quasi la metà di tutta la nostra ricchezza.

Lo scorso 7 dicembre il Circolo Taiapaia ha proposto la presentazione del libro di Nicoletta Dentico* “Ricchi e Buoni? Le trame oscure del filantrocapitalismo”.

L’utilità del bene

Dentico inizia la presentazione denunciando l’attuale narrazione della società, che porta l’attenzione sulla marginalizzazione dei più poveri. L’autrice invece sostiene che si debba volgere lo sguardo verso la ricchezza: quanto è lecito essere ricchi ed arricchirsi? Dove si può e si dovrebbe collocare una “linea della ricchezza” a fronte di una già esistente e dibattuta soglia della povertà? In che modo si riescono ad accumulare capitali in continua crescita? Com’è che i filantropi hanno occupato il campo della politica, della gestione della res publica, a livello nazionale ma soprattutto internazionale?

In questo scenario i soggetti che possiedono il potere sono i cosiddetti “filantrocapitalisti”, termine coniato dall’Economist nel 2006. Si tratta di grandi imprenditori globali, vincitori nello scenario ineguale della globalizzazione, che hanno compreso che è possibile, dichiarando di fare del bene, continuare il loro business attraverso ulteriori mezzi. Addirittura, l’investimento nell’agenda del bene si configura per loro come un modo per migliorare anche il business di partenza; così facendo, i filantrocapitalisti distruggono il limite tra profit e non profit. Dal momento che hanno vinto la globalizzazione essi possono anche prendere legittimamente in mano la risoluzione dei problemi della stessa, senza che nessuno li interroghi riguardo al modo attraverso cui hanno contribuito a creare quei problemi.

Bill Gates, Mark Zuckerberg, Ted Turner sono tutti monopolisti nel loro settore di riferimento, combattono la legge classica del mercato, quella della concorrenza. Sono diventati ricchi perché hanno usufruito delle permissive regole mondiali del mercato, portano avanti i loro business eludendo i sistemi di tassazione, posizionano le loro sedi in luoghi dove si pagano meno tasse e sfruttano proprio la filantropia per usufruire di agevolazioni fiscali.

Da dove partono e dove arrivano i filantrocapitalisti

La filantropia è in evidente stretto rapporto con il concetto antropologico del dono, studiato fra gli altri da Malinowski, Boas e Mauss. I filantrocapitalisti portano nella tradizione ancestrale del dono – che nella nostra società siamo abituati a ritenere disinteressato- i concetti del libero mercato, inerenti alla loro cultura di riferimento che è quella imprenditoriale. Pensano quindi che i problemi del mondo possano essere risolti attraverso la maggiore efficacia ed efficienza dei mercati.

La filantropia nasce con la prima industrializzazione, quando spiccavano fondazioni come quella Rockefeller. Anche in quel caso, la filantropia appariva come esito di una società diseguale ma a quel tempo la politica riusciva ad arginare il potere di questi investitori con argomentazioni attinenti al valore liberale e democratico. Infatti, quando i filantropi avanzavano richieste talvolta eccessive su questi temi, i politici osservavano che la loro dichiarazione di “fare del bene” fosse in realtà un modo per conquistare capitale, ponendo la questione che quel tipo di sviluppo della filantropia fosse contrario all’esistenza di una società democratica. “Questa coscienza di sé della politica -sostiene Dentico- ora è scomparsa e i filantropi lo hanno capito: vanno a colpire un anello della governance mondiale molto debole ed esposto: le Nazioni Unite”.

Logo dell’ONU. Foto di Miguel Á. Padriñán da Pixabay 

L’ONU nacque con l’ottica di superare il dramma delle guerre attraverso un “governo del mondo”. Tuttavia, ad oggi, gli stati nazionali sono sempre meno intenzionati a finanziare questi organismi, pertanto i privati e i filantrocapitalisti si presentano come perfetti mediatori per portare dentro l’organizzazione i grandi attori economici, ovvero le multinazionali. I filantrocapitalisti ideano progetti di intervento per sanare le piaghe della globalizzazione, promuovendo una nuova idea delle Nazioni Unite in cui gli imprenditori affiancano società civile e politica e in cui si costruiscono entità ibride con partecipazioni private per gestire educazione, cibo, agricoltura e salute. A proposito di salute, è interessante constatare quanta importanza assumono le fondazioni nella gestione di diagnostici e vaccini per la pandemia in corso: Bill Gates fra tutti si è da tempo fatto paladino nel campo delle biotecnologie e la fondazione che gestisce con la moglie è stata la prima ad interessarsi al tema di Covid 19 anche quando sembrava colpire solo la Cina.  

Ciò a cui stiamo assistendo è una privatizzazione della gestione della cosa pubblica a livello internazionale con ricadute a livello nazionale. Dentico esprime preoccupazione al riguardo, anche per quanto concerne l’obiettivo specifico dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile 2030. In quest’ultima in posizioni di vertice vengono coinvolti gli stessi attori economici che sono responsabili della devastazione del pianeta. Ciò può avvenire perché non esiste a livello internazionale una responsabilità legale di impresa, pertanto i filantrocapitalisti possono permettersi di investire in questi campi le loro disponibilità finanziare, acquisendo d’altra parte l’arricchimento delle loro fondazioni.

Ad esempio, Bill Gates, pur investendo il 50% delle sue ricchezze in filantropia, continua a rimanere tra i più ricchi del mondo. Ciò che si è andato a delineare è quindi un sistema di ri-alimentazione delle ricchezze attraverso l’agenda del bene. Come osserva Dentico “i filantrocapitalisti presentano la loro idea dei problemi del mondo, hanno la risposta a questi problemi che hanno definito, sono loro stessi che hanno le soluzioni, hanno capacità di scegliere in che stati andare, sanno oliare la comunità scientifica ed accademica, dal momento che in forza delle loro ricchezze possono gestire chiunque”.

La perpetrazione colonizzatrice di una nuova cultura

Questa nuova classe di filantrocapitalisti utilizza la cultura, secondo un’idea gramsciana, per perpetuare la loro posizione di potere e impedire il cambiamento sociale e il ribaltamento degli equilibri che li vedono all’apice di una gerarchia estesa in molti campi. La soluzione alla povertà nel mondo è quella di applicarvi la cultura imprenditoriale: creare nuovi mercati per i poveri, trasformarli in consumatori e pretendere di fornire loro dignità convertendoli da emarginati a clienti. Il termine conversione si presta proprio a considerare questa “missione civilizzatrice” come motivata dalla religione del denaro.  

In questo senso è puntuale la definizione di Vandana Shiva, autrice della prefazione del libro, che parla di una nuova forma di colonialismo: tutte le biodiversità scientifiche, politiche, culturali che si impegnano per arginare questa onda vengono isolate ed osteggiate e devono essere rimosse. Siamo inconsciamente inseriti nella narrazione persuasiva di un pensiero unico portato avanti con la pretesa di far bene. Se da una parte la digitalizzazione secondo Zuckerberg è un modo per renderci tutti uguali e facilitare l’accesso all’informazione, dall’altra le nostre comunicazioni, relazioni, amicizie sono la materia prima di cui hanno sete questi nuovi colonizzatori. Nel frattempo, quindi, non solo veniamo oggettivizzati e schiavizzati con i nostri corpi e le nostre menti, ma veniamo espropriati del nostro bene comune per eccellenza, la democrazia.

Alla luce di queste considerazioni, Dentico fa emergere tutte le sue preoccupazioni riguardo al problema della disuguaglianza che affligge la società attuale. Quest’ultimo coincide con un problema ancora più importante che compromette la democrazia stessa e che scaturisce a ben vedere dalla privatizzazione dilagante. L’autrice sostiene che Covid 19 possa essere un trampolino per decostruire questo sistema, cercando di ricostruirne uno seriamente basato su valori democratici ed egalitari e non su una speciosa lotta alla povertà, portata avanti e promotrice allo stesso tempo di attori privati e che impedisce di risolvere le reali ragioni dell’impoverimento del pianeta.

* Nella sua esperienza, l’autrice conta la direzione della Campagna Italiana per la messa al bando delle mine – Nobel 1997 –, la collaborazione con Medici senza Frontiere, la consulenza per la Commissione per i Diritti Umani del Senato Italiano per lo svolgimento della prima ricerca sui centri di detenzione temporanea per migranti e rifugiati. Sul tema dell’accesso ai farmaci essenziali, ha lavorato come policy manager per Drugs for Neglected Diseases Initiative, e poi come consulente per l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dal 2013 è consigliera di amministrazione di Banca Popolare Etica, e vicepresidente della Fondazione Finanza Etica. Dalla fine del 2019 dirige il programma di salute globale di Society for International Development (SID).

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