La fame provocherà più vittime del Covid-19?
Analisi su due fenomeni connessi visto che la pandemia ha stravolto le catene di approvvigionamento alimentare, minando le le economie ed erodendo in modo progressivo il potere di acquisto dei consumatori.

La fame provocherà più vittime del Covid-19? Pare probabile, ma i due fenomeni sono connessi visto che la pandemia ha stravolto le catene di approvvigionamento alimentare, minando le economie ed erodendo in modo progressivo il potere di acquisto dei consumatori. Per questo entro la fine del 2020 potrebbero morire 12 mila persone al giorno a causa della fame innescata dal Covid-19, più di quante ne stia uccidendo il virus, che sino ad oggi ha fatto registrare un tasso di mortalità media di circa 10 mila vittime al giorno nel mondo. Lo sostiene il recente rapporto di Oxfam “Il virus della fame” dal quale emerge come “121 milioni di persone in più potrebbero ritrovarsi letteralmente senza nulla da mangiare per periodi prolungati, a causa dell’impatto della crisi economica e sociale legata alla pandemia. Soprattutto in aree del mondo già devastate da guerra, disuguaglianza estrema, cambiamenti climatici e quel sistema alimentare distorto, che impoverisce milioni di piccoli produttori e lavoratori agricoli”. A causa della pandemia, insomma, “oltre 270 milioni di persone, che già lottano per sopravvivere, potrebbero finire nella morsa della fame cronica, con un aumento dell’82%, rispetto all’anno scorso”.
Intanto, mentre più di 305 milioni di posti di lavoro sono andati perduti, alimentando la forbice delle disuguaglianze economiche e spingendo sempre più persone in povertà, le 8 più grandi aziende dell’alimentare hanno provveduto a versare ai propri azionisti ben 18 miliardi di dollari, a partire da quando l’epidemia ha cominciato a diffondersi nel mondo lo scorso gennaio. Una cifra 10 volte superiore a quella che le Nazioni Unite stimano come necessaria a sconfiggere la piaga della fame nel mondo, tanto che entro il 2030, il numero di persone denutrite potrebbe raggiungere i 909 milioni, rispetto ad uno scenario pre-Covid di “sole” 841 milioni di persone. “Vedremo il retaggio di questa situazione critica per generazioni” ha spiegato Mariana Chilton, direttrice del Center for Hunger-Free Communities della Drexel University e “nel 2120 parleremo ancora di questa crisi”.
La crisi alimentare, infatti, può innescare veri e propri terremoti all’interno del panorama politico e istituzionale e “Ripensando alle giornate convulse della rivoluzione francese, l’insicurezza alimentare ha spinto le persone a scendere in strada e protestare contro l’aumento dei prezzi e per chiedere condizioni migliori. Ai giorni nostri, l’inflazione e la scarsità di risorse sono alcuni dei fattori che hanno contribuito ad esasperare le proteste in Libano e, oltreoceano, in Cile all’inizio dell’anno” ha concluso la Chilton.
In questo contesto pandemico molti sistemi alimentari stanno fallendo, soprattutto in alcuni Paesi. Per Oxfam tra questi ci sono sicuramente Yemen, Siria, Afghanistan e il Sud Sudan, colpiti da crisi alimentari, ulteriormente peggiorate con la pandemia, ma anche paesi a medio reddito come India, Sud Africa e Brasile con milioni di persone già in bilico, definitivamente messe in ginocchio dal virus. In Yemen, per esempio, “nei primi 4 mesi dell’anno le rimesse sono crollate dell’80% come conseguenza della grande perdita di posti di lavoro nel Golfo. La chiusura di confini e vie di approvvigionamento ha inoltre portato a una diminuzione delle scorte e fatto schizzare i prezzi alimentari”. In Siria, “a oltre 10 anni dall’inizio del conflitto più di 9,3 milioni di persone soffrono la fame e altri 2 milioni potrebbero aggiungersi entro l’anno, con un incremento del 42% rispetto al 2019. Si rischia un definitivo collasso dell’economia, causato dalla pandemia, con i prezzi dei beni alimentari schizzati alle stelle”. Nel Sahel “le restrizioni alla mobilità hanno impedito a milioni di allevatori di portare il bestiame su pascoli più verdi, mettendo a rischio la vita di milioni di persone. Al momento solo il 26% dei 2,8 miliardi di dollari necessari per rispondere all’emergenza Covid è stato stanziato”.
In Brasile “milioni di lavoratori poveri, privi di risparmi o sussidi su cui contare, hanno perso ogni forma di reddito a causa del lockdown e per via dello smantellamento dei sistemi di tutela sociale e alimentare attuata dal governo Bolsonaro. In uno dei paesi più colpiti al mondo dalla pandemia, attraversato già da enormi disuguaglianze, a fine giugno, solo il 10% del sostegno finanziario promesso dal governo federale è stato erogato”. Infine in India “il lockdown ha lasciato gli agricoltori senza la forza lavoro dei migranti interni in piena stagione del raccolto, con la conseguenza che in buona parte è andato completamente perso. I commercianti per la stessa ragione non hanno potuto raggiungere le comunità tribali e comprare i prodotti raccolti nelle foreste, come il tamarindo o i semi di karanja, con la conseguenza che circa 100 milioni di persone rimarranno senza la loro principale fonte di reddito”.
Anche un colosso come la Cina, la prima a fare i conti con il Covid-19, sta subendo l’effetto combinato di siccità, inondazioni e Covid-19, che ha portato gli agricoltori cinesi a perdere la metà del loro raccolto di cereali. Secondo il South China Morning Post, il calo della produzione cerealicola rischia di provocare problemi di approvvigionamento di riso, grano e mais, componenti fondamentali nella dieta della popolazione cinese. I piani governativi per arrivare all’autosufficienza nella produzione alimentare, obiettivo perseguito per far fronte alla guerra commerciale con gli Stati Uniti e agli ostacoli al commercio internazionale causati dal Coronavirus, hanno spinto lo scorso mese il presidente Xi Jinping ad invitare la popolazione a “non sprecare cibo”.
I ristoranti servono porzioni più piccole ai clienti, le società di catering e consegna di cibo a domicilio propongono programmi per cambiare le abitudini alimentari dei cinesi e gli agricoltori stanno mettendo da parte il raccolto perché si aspettano un’ulteriore impennata dei prezzi. Nonostante le statistiche ufficiali indichino una crescita del Pil del 3,2% nel secondo trimestre dell’anno, dopo il crollo del 6,8% registrato tra gennaio e marzo, la disoccupazione nel Paese rimane sopra il 5,7%, mentre il reddito pro-capite dei cinesi è calato dell’1,3% e la spesa per abitante del 9,3%. Con i prezzi alimentari in aumento, le prospettive per buona parte della popolazione cinese rimangono decisamente incerte. Per questo l’invito di Oxfam è chiaro: “I governi devono certamente contenere la diffusione di un virus mortale come il Covid-19, ma allo stesso tempo devono agire con urgenza per fermare quello della fame che appare ancora più letale. Possono salvare vite finanziando pienamente l’appello di risposta al Covid-19 delle Nazioni Unite, cancellando il debito dei paesi in via di sviluppo, per liberare risorse da investire in forme di protezione sociale e nell’assistenza sanitaria”. Ma lo faranno?* Articolo pubblicato originariamente da Unimondo, partner di Fa’ la cosa giusta! Trento.