Il clima e la dieta mediterranea
Le discussioni sulla mitigazione del cambiamento climatico si concentrano in genere sulla riduzione delle emissioni di gas serra generati principalmente dai trasporti o dalla produzione di energia. Ma è veramente solo questo il problema da affrontare per rendere più sostenibile il nostro Pianeta?

Secondo lo studio“Global food system emissions could preclude achieving the 1.5° and 2°C climate change targets”, pubblicato lo scorso mese su Science da un team di ricercatori statunitensi e britannici guidato da Michael Clarck dell’Oxford Martin School and Nuffield Department of Population Health dell’Università di Oxford, “Anche se le emissioni di combustibili fossili si interrompessero immediatamente, da sole le emissioni del sistema alimentare globale potrebbero aumentare le temperature di oltre 1,5 ° C”. Per i ricercatori la riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili è essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici globali dell’Agenda 2030, ma questi obiettivi non saranno raggiungibili a meno che non venga trasformato anche il sistema alimentare globale: “Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C o 2° C sopra i livelli preindustriali, ciò che mangiamo, quanto mangiamo, quanto viene sprecato e come viene prodotto il cibo dovrà cambiare drasticamente entro il 2050”.
Se le tendenze alimentari attuali continueranno così (o come è prevedibile peggioreranno), le emissioni dei sistemi alimentari supereranno l’obiettivo di 1,5° C entro 30 – 45 anni e potrebbero superare l’obiettivo di 2° C entro 90 anni, anche se tutte le altre fonti di emissioni di gas serra si fermassero immediatamente. Se poi altre fonti di emissioni di gas serra raggiungessero lo zero entro il 2050, l’obiettivo di 1,5° C verrebbe in ogni caso superato in 10 – 20 anni e l’obiettivo di 2° C entro la fine del secolo. Invece, passando quasi completamente a una dieta ricca di vegetali in tutto il mondo si potrebbero tagliare quasi 720 miliardi di tonnellate di gas serra. Impossibile? Per Clarck la buona notizia è che, “Se si agisce velocemente, ci sono molti modi realizzabili rapidamente per ridurre le emissioni da cibo. Queste includono sia l’aumento dei raccolti che la riduzione della perdita e dello spreco di cibo, ma la cosa più importante è che le persone si spostino verso diete prevalentemente vegetali”. Riuscire a ridurre le emissioni di gas serra prodotte dai sistemi alimentari con un’azione coordinata tra l’industria del cibo e i governi nazionali potrebbe avere anche ulteriori vantaggi oltre a ridurre l’inquinamento, “Ad esempio combattere la scarsità dell’acqua, aumentando la biodiversità e riducendo il tasso di incidenza di condizioni fisiche e malattie legate all’alimentazione come obesità, diabete e malattie cardiache”.
Una rinuncia possibile? Se lo chiedete allo scrivente, che da dieci anni è vegetariano, la risposta è sì e senza rinunciare a molti piaceri della tavola e tanto meno al giusto apporto calorico. Se, infatti, quasi tutti riducessimo drasticamente il consumo di carne e mangiassimo il giusto numero di calorie in base alla nostra età, circa 2.100 calorie al giorno, oltre al taglio dell’inquinamento, l’agricoltura diventerebbe più efficiente in termini di emissioni di carbonio, utilizzeremmo meno fertilizzanti, gestiremmo meglio il suolo e miglioreremmo la rotazione delle colture. Se poi le persone sprecassero meno cibo a casa e al ristorante si eliminerebbero altri 400 miliardi di tonnellate di gas serra. Quindi, anche un impegno personale minimo sul fronte alimentare, accompagnato dall’impegno mondiale a tagliare le emissioni di combustibili fossili, darebbe al mondo la possibilità di restare dentro le previsioni dell’Accordo di Parigi. Commentando lo studio, Hans-Otto Pörtner, a capo del Working Group II dell’Ipccc ha chiarito che “Ci sono molte innovazioni possibili per aiutare il clima, come lo stop allo spreco alimentare e pratiche più sostenibili nel taglio delle foreste tropicali per la produzione di soia e la sua esportazione come mangime. Ma non si può ignorare che ridurre il consumo di carne a livelli più sostenibili sarebbe importante”.
Quindi, anche se la maggior parte dei gas serra del mondo dipendono dalle decisone dei Governi sulla combustione di carbone, petrolio e gas naturale, la scelta di una dieta mediterranea (dal 2010 patrimonio dell’Umanità UNESCO), con meno carne e grassi animali, insieme al taglio delle porzioni, dipende da noi, è molto facile da realizzare e aiuterebbe immediatamente a combattere il cambiamento climatico oltre a rendere le persone più sane. Gli italiani, che hanno “inventato” la dieta mediterranea, dovrebbero avere un motivo in più per sceglierla, visto che secondo Ember, un think-tank climatico indipendente che punta a una rapida transizione globale dal carbone alle energie rinnovabili, analizzando il nostro Piano nazionale integrato per l’energia e clima (Pniec), ha evidenziato quanto il nostro Paese sia in grave ritardo. Nonostante i progressi, anche tra dieci anni “L’’Italia – si legge sul rapporto – sarà uno dei paesi dell’Unione europea più dipendenti dai combustibili fossili per la produzione di elettricità”. Per il responsabile del programma europeo di Ember, Charles Moore, “L’Italia sta bloccando la transizione elettrica dell’Unione. I piani del Governo mostrano il maggiore aumento del gas fossile di tutta l’Ue nei prossimi cinque anni, insieme a livelli di diffusione delle energie da fonti rinnovabili inferiori alla media”.
Di questo passo entro il 2030 l’Italia sarà il terzo emettitore del settore energetico dell’Unione e poiché l’Ue porterà presto al 55% il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030, l’Italia deve urgentemente cambiare rotta, sbloccando lo sviluppo delle energie da fonti rinnovabili per evitare di essere vincolata a nuove infrastrutture di gas fossile nei prossimi cinque anni. Oggi a tutti i governi nazionali europei spetta il compito di rivedere i piani per il sistema elettrico e identificare dove è possibile ottenere ulteriori risparmi sulle emissioni e l’Italia, sappiamo, partirà svantaggiata. Il nostro personale contributo per il Belpaese deve quindi passare attraverso il nostro stile di vita, anche attraverso quello che metteremo nei prossimi anni sulla nostra tavola.
*Articolo pubblicato originariamente su Unimondo, partner di Fa’ la cosa giusta! Trento. Unimondo è una testata giornalistica online che offre un’informazione qualificata sui temi della pace, dello sviluppo umano sostenibile, dei diritti umani e dell’ambiente.