Economia circolare nella filiera agroalimentare
Tre relatrici attraverso le loro esperienze nel campo dell'innovazione, dell'ambiente e della filiera del cibo parlano di economia circolare.
In numerosi abbiamo partecipato all’intervento di Sira Saccani, Silvia Silvestri e Sara Roversi promosso da HIT-Hub Innovazione Trentino sul tema dell’economia circolare nella filiera agroalimentare. È disponibile la registrazione qui.
La rassegna “ResearcHERs Power” promossa da HIT-Hub Innovazione Trentino è giunta al suo penultimo webinar lo scorso 20 gennaio con l’incontro “Economia circolare e agrifood”. Gli incontri proposti sono volti a promuovere un dialogo alla pari sui filoni di ricerca d’avanguardia. Anche in questo caso, quindi, il panel di ospiti è tutto al femminile. Sara Roversi è un’imprenditrice, fondatrice del Future Food Institute, rete inclusiva e piattaforma che lavora per innovare l’ecosistema del cibo. Silvia Silvestri è una biologa ricercatrice presso la Fondazione Mach, con sede in provincia di Trento, la cui mission è il supporto al mondo agricolo e ambientale negli aspetti che riguardano la produzione. Sira Saccani è direttrice del programma Sustainable Production System di EIT Climate-KIC, che collabora con vari partner per ridurre le emissioni di CO2 attraverso l’innovazione.
Le loro voci provengono da esperienze tanto diverse, ma dimostrano l’eccellenza delle donne di cui, come loro stesse sostengono, il mondo scientifico ha bisogno. Roversi in particolare trasmette al pubblico la necessità di un approccio più accogliente, che faciliti la connessione, dove le donne possono essere acceleratrici dei processi di cui proprio adesso ha bisogno la ricerca scientifica. Ciò che fa notare anche Saccani è che spesso ricerca e sviluppo lavorano in modo troppo settoriale e le discipline in modo isolato l’una rispetto all’altra, rendendo difficili trasformazioni di ampio respiro. È qui che si inserisce il possibile intervento sempre più importante di donne con capacità di “mediazione culturale”.
Dall’economia lineare a quella circolare

Ma veniamo al tema dell’incontro: l’economia circolare applicata alla filiera agroalimentare. La filiera agroalimentare è un settore che tocca tutti i paesi e le classi sociali, e che contribuisce al 37% delle emissioni mondiali. Sappiamo anche che un terzo del cibo a livello globale viene sprecato, e con esso risorse, acqua, energie e lavoro. Per agire su questi aspetti c’è un ampio spazio di intervento, e negli ultimi anni molti innovatori hanno visto negli scarti una possibilità per intervenire con progetti ad alto valore aggiunto. Il cambiamento da un’economia lineare a quella circolare è senza dubbio impegnativo e sembra concepibile solo per grandi gruppi, come Illy o Barilla. Ciò che comprendiamo dalle parole di Silvestri invece è che ad investire nella direzione green guadagnano anche le piccole aziende, con ricadute positive in termini di esportazione e di occupazione.
In questo senso, le relatrici hanno portato numerosi esempi. Roversi ha citato il progetto avviato dal Future Food Insitute in Islanda, dove accanto a un’industria ittica radicata nel territorio si sono insediate delle start-up per recuperare gli scarti, come quella che dalla pelle dei salmoni crea dei cerotti ad alto potere cicatrizzante. Questo è solo uno dei primi esempi che ci fa capire come quello che prima era visto come una perdita di risorse, ora è visto come un’opportunità di guadagno: la sostenibilità non è più trattata come un costo, è entrata nelle strategie di business con vantaggi tangibili nella creazione di nuovo valore. I nuovi imprenditori applicano un modello virtuoso alle loro risorse e alla loro crescita, mettendo da parte l’aspetto unico del profitto economico ed interessandosi allo sviluppo di collaborazioni ed ecosistemi, cercando di “collegare i punti”, necessità che più volte è stata avanzata nel corso dell’incontro.
Continuando con gli esempi, dall’esperienza del gruppo di lavoro di Silvestri è emerso invece un esempio virtuoso legato al territorio. Si tratta di Oliocru, un frantoio ubicato a Riva del Garda, che ha l’obiettivo di utilizzare in toto il bene di cui dispone: l’oliva. La parte legnosa del nocciolo viene utilizzata come combustibile e diventa quindi preziosa fonte di energia, mentre dal seme dentro al nocciolo viene estratto l’olio di semi di oliva, con importanti qualità antiossidanti. Il loro prodotto più innovativo è “Prebiò”, ottenuta dalla pasta di oliva denocciolata che rimane dopo l’estrazione dell’olio, trasformata in una polvere pura di olive con un’elevatissima concentrazione di polifenoli, fibre, minerali e vitamine e soprattutto con un’importante azione prebiotica.
Il ruolo del consumatore
Tralasciando parzialmente gli aspetti tecnologici e innovativi, è bene ricordare che nella filiera alimentare un ruolo importante lo svolgono i consumatori collocati alla fine della stessa. Dai dati dell’osservatorio Waste Watcher e dell’Università di Bologna risulta come gli italiani continuino ad avere, anche se in misura sempre minore, abitudini sbagliate riguardo alla conservazione del cibo, alla sua preparazione e alla sua consumazione che portano alla produzione di ingenti quantità di scarti. Silvestri constata come il comportamento del consumatore sia fondamentale anche nella qualità degli scarti che produce. Occupandosi di scarti organici, la biologa trasmette al pubblico la necessità di porre molta attenzione nella selezione effettuata per la raccolta differenziata.
Come nota Saccani: “possiamo ottimizzare la filiera quanto vogliamo, ma se il consumatore non viene sensibilizzato avremo sempre sprechi di risorse”. Si delineano come necessari dunque interventi di sensibilizzazione e informazione per la cittadinanza, di cui lo Stato stesso potrebbe occuparsi per incentivare una trasformazione verso lo “spreco zero”. A livello istituzionale, la Francia è pioniera con una legge del 2016 che ha reso illegale per i negozi di alimentari gettare cibo ancora commestibile, che deve essere invece donato ad esempio ad enti di beneficienza. Saccani continua sottolineando l’importanza che il consumatore sappia interpretare correttamente la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il”, che non indica che il prodotto non sia più commestibile. Green Peace Germania infatti ha dimostrato che molti cibi rimangono commestibili e nutrienti anche per mesi dopo tale data.