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Cambiamenti climatici in Perù: la storia di Livia Serrao

Cosa significa l’emergenza climatica per i contadini delle valli peruviane? Lo abbiamo chiesto a Livia Serrao, dottoranda dell’Università di Trento in un progetto di Mandacarù.

“Nelle campagne del Perù esiste un rapporto diverso con la natura rispetto a quello che abbiamo noi occidentali”. Livia Serrao, dottoranda dell’Università di Trento, ha cercato di assorbire il forte legame con la terra dai produttori di baby banane che ha incontrato nella valle dell’Alto Huallaga. “Tuttavia, nelle campagne peruviane si riserva una scarsissima attenzione all’immondizia. La plastica è un materiale nuovo e dirompente, che in molti casi ha sostituito gli imballaggi che venivano fatti con le foglie di banana. Ora la plastica è ovunque, e non ci si fa problemi a bruciarla”. Questa è la contraddizione che la ricercatrice ci ha raccontato esserle rimasta impressa in un’interessante intervista dopo la sua permanenza in Perù all’interno del Progetto MUSA di Mandacarù Onlus con Altromercato.

Il progetto è nato nel 2013 per sostenere piccoli contadini ex-cocaleros nella zona dell’Alto Rio Huallaga. Dopo questo primo progetto di sviluppo economico-imprenditoriale a livello agricolo, è stato avviato il progetto Sviluppo sostenibile e lotta al cambiamento climatico nell’Alto Huallaga. Quest’ultimo vuole implementare azioni di mitigazione e misure ecosistemiche per il contenimento degli effetti collaterali del cambiamento climatico a beneficio di 200 agricoltori di baby banana. Tra i partner: la rete dei campesinos, Redesign by Promer SAC, il MUSE- Museo delle Scienze di Trento, il Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento, la Fondazione Edmund Mach (FEM), l’Universidad Nacional Agraria de la Selva de Tingo Maria.

Studenti dell’Università locale a lavoro su un’isola fluviale dell’Huallaga.

Livia Serrao è attualmente dottoranda presso l’Università di Trento nel programma Civil, Environmental and Mechanical Engineering. Durante gli studi ha approfondito la progettazione integrata all’ambiente e al territorio nei contesti di cooperazione internazionale, e da sempre ha indirizzato il suo consumo in senso critico. I suoi interessi l’hanno portata a partecipare al bando di ricerca inserito all’interno del progetto di Mandacarù Onlus, quindi nel 2018 è partita per il Perù. L’abbiamo intervistata per farci raccontare la sua esperienza, i risultati ottenuti e gli obiettivi ancora da raggiungere dai due progetti di Mandacarù.

Livia con Flora e Miriam, studentesse di Sociologia dell’Università di Trento.

I danni nell’alto Huallaga

L’obiettivo del secondo progetto è quello di aumentare la resilienza dei contadini al cambiamento climatico. Ma quali sono stati i danni rilevati dai coltivatori delle baby banane di Altromercato? Come ci spiega Livia, sono due le forzanti esterne di rischio. La prima è legata all’attività fluviale del fiume Huallaga, che ogni anno cambia il suo percorso erodendo i campi che si trovano lungo le sue sponde. Pur esistendo delle fasce di rispetto nelle coltivazioni, i contadini sono abituati alle deviazioni del fiume e ci convivono senza osservarle. Infatti, il guadagno derivante da una piantagione di banane si può ottenere in un arco di tempo molto breve rispetto, ad esempio, ad una piantagione di mele: se la prima dà i suoi frutti già a nove mesi da quando viene piantata, un meleto li dà solo dopo 3 o 4 anni. I contadini dell’alto Huallaga, sapendo che potranno raccogliere i frutti in breve tempo, sono portati quindi a disinteressarsi rispetto ad eventuali esondazioni del fiume stesso, coltivando anche nelle zone nei pressi del fiume possibilmente soggette a tali eventi.

Bajaj (mezzo di trasporto urbano) durante un’esondazione a Tingo Maria.

Il cambiamento climatico rappresenta il secondo fattore di rischio. Si rilevano eventi metereologici estremi più forti della media, come raffiche di vento fino a 50 km/h che spazzano via le banane. Si soffre anche per l’allungamento del periodo siccitoso e il cambiamento nell’intensità dei periodi piovosi. Infatti, pur rimanendo costante la quantità di pioggia annuale, si concentra in periodi molto più brevi. Questi problemi, ci tiene a precisare Serrao, sono stati rilevati in tutta la fascia tropicale e subtropicale.

Ad oggi rispetto ai cambiamenti climatici non è stato rilevato nessun dato quantitativo, sono stati assunti dei tecnici agronomi ed è stato avviato il progetto proprio per intervenire anche su questo punto.  Mancando dati di tipo quantitativo, il rapporto con i contadini locali si è avviato tramite un’inchiesta qualitativa, con interviste a circa 70 produttori. Molti di loro hanno percepito un cambiamento negli ultimi 5 anni: variazioni delle precipitazioni, aumento delle temperature, il vento sempre più variabile e imprevedibile. Ora gli studi che si stanno svolgendo mirano a comparare queste sensazioni e i dati: di fatto, le temperature sono aumentate e le precipitazioni, come in tutto il Sud America, sono in balia del fenomeno climatico denominato il Niño.

Viaggio su una lancia sull’Huallaga per svolgere delle interviste alla popolazione locale.

Il progetto ha provveduto all’installazione di stazioni meteo, con l’obiettivo di creare una rete per ottenere un modello di previsione. Questo serve a creare un sistema di allerta per i contadini che aderiscono al sistema e sono interessati da questi cambiamenti. I contadini assumono così maggiori capacità di adattamento. Di fatto, trattandosi di un sistema agricolo poco tecnificato, i contadini potranno intervenire anticipando la raccolta dei frutti rispetto al dannoso evento meteorologico previsto.

Una delle stazioni metereologiche installate nei campi

Le conseguenze dell’emergenza Covid-19

L’emergenza sanitaria ha ovviamente avuto un impatto sull’intero progetto. In generale, Serrao ha riscontrato tutte le difficoltà legate al mantenimento dei rapporti a distanza di migliaia di chilometri. Il progetto si è quasi fermato, data l’assenza di un referente locale dedicato al progetto e gli impedimenti al collegamento tra partner. Tuttavia, Livia vorrebbe tornare in Perù per restituire i risultati del progetto alla popolazione locale. Come precisa la dottoranda, “quello che purtroppo spesso accade con i progetti di cooperazione è che si lavori per scrivere il proprio report e restituire semplicemente i risultati a chi ha dato i fondi”.   Tuttavia, anche Livia è consapevole che un rientro nella valle dell’Huallaga per lei sarà difficile prima dello scadere della sua borsa di studio, a causa del perdurare della crisi sanitaria.

La ricercatrice ha vissuto anche nella sua propria esperienza le conseguenze della crisi. A marzo 2020, quando l’emergenza stava dilagando, la popolazione locale era tranquilla, ci spiega, perché non vedeva Covid-19 diversamente rispetto ad altre emergenze a cui era precedente sopravvissuta, come la febbre gialla e la violenza dei narcotrafficanti. A metà marzo, Livia si scontra con la notizia della chiusura dei voli internazionali. Convinta di poter rientrare in Perù nei mesi successivi, lascia molte delle sue cose nel villaggio. Attende per due settimane notizie da parte dell’ambasciata a Lima, mentre il governo peruviano, nonostante la bassa incidenza dei casi, iniziava già ad instaurare misure severe e restrittive, consapevole della debolezza del proprio sistema sanitario.

Cosa ha significato economia solidale in questo progetto?

“Tra gli anni ’70 e ’80 i contadini in Perù guadagnavano il necessario solo per sostentarsi. Era fonte di attrazione invece la coltivazione di coca, soprattutto nella valle dell’Huallaga: il narcotraffico diventò un’opportunità per i contadini”, spiega Livia. Dagli anni 2000, si è tentata una riconversione delle colture, con sostegni anche provenienti dagli USA, che hanno investito affinché i contadini coltivassero caffè, cacao e anche banane.

In questo contesto si inseriscono anche le coltivazioni dell’equo solidale e di Mandacarù. Come si legge nella Carta italiana del commercio equo e solidale, “il commercio equo e solidale è un approccio alternativo al commercio convenzionale; esso promuove giustizia sociale ed economica, sviluppo sostenibile, rispetto per le persone e per l’ambiente (…).” Il sistema equo solidale è quindi interessato all’impatto sociale. Come ci racconta Livia, questo aspetto è stato studiato da Miriam Farinella, studentessa e collaboratrice di CTM Agrofair, che gestisce i prodotti freschi di Altromercato. Attraverso una valutazione del progetto MUSA a livello sociale ha rilevato un miglioramento della condizione dei contadini. La produzione equo-solidale, racconta Livia, ha permesso di aiutare ad esempio un contadino che con un incidente aveva subito un danno alla gamba e ha offerto in generale tutele maggiori a categorie come le madri con figli.

Lavaggio delle manitas (caschi di banane) nella vasca.

Come possiamo aiutare da qui?

Acquistando equo-solidale! Livia, una volta rientrata, dichiara di acquistare solo frutti tropicali dell’equo solidale, se non coltivati in Italia. Ha potuto rilevare come la produzione dell’equo solidale sia biologica: non si usano pesticidi, insetticidi o erbicidi, che hanno in particolare effetti negativi sul suolo, in quanto rimangono nel terreno. “Se compriamo le banane provenienti da paesi esteri a 99 centesimi dobbiamo renderci conto che poco o niente arriva al produttore”, puntualizza la ricercatrice. Un invito ad indirizzare i nostri acquisti con più consapevolezza, comprendendo che il prezzo delle banane equo-solidali è sicuramente più giusto. Per rimanere aggiornati, consulta il sito di Mandacarù, che organizza eventi riguardo al progetto. Qui potete scaricare il reportage del progetto in Perù scritto da Livia Serrao.

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