I danni del business legale di specie selvatiche
Dati recenti dichiarano che il commercio internazionale legale di specie selvatiche sta causando un calo di circa il 62% nell’abbondanza di specie.
Alessandro Graziadei
Giornalista caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010. Sempre in lotta con la sua impronta ecologica, legge e scrive soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”.
https://www.unimondo.org/Fino a oggi la scienza ha individuato quasi2 milioni di specie animali e vegetali, ma secondo il WWF sulla Terra, nei contesti più integri e inaccessibili, come le foreste tropicali o gli abissi marini, ce ne potrebbero essere addirittura tra i 5 e i 100 milioni. Ogni giorno la distruzione degli habitat, il commercio illegale, il bracconaggio, l’inquinamento, i cambiamenti climatici mettono in pericolo migliaia di animali che rischiano seriamente l’estinzione e vengono così regolarmente inseriti dall’International Union for Conservation of Nature (IUCN) nella Lista Rossa degli animali a rischio. Ma non sono l’incuria e l’illegalità i soli responsabili di questa costante perdita di biodiversità. Il commercio internazionale di animali selvatici, per esempio, è un business che vale 20 miliardi di dollari all’anno, per questo ogni anno nel mondo almeno 100 milioni di animali sono messi sul mercato e nonostante negli ultimi decenni siano cresciute le normative nazionali e internazionali per la tutela dei diritti animali, queste leggi non sempre bastano a preservare tutte le specie in pericolo. Secondo il nuovo studio“Impacts of wildlife trade on terrestrial biodiversity”, pubblicato in febbraio su Nature Ecology & Evolutionda un team di ricercatori delle Università di Sheffield, della Florida e della norvegese Norges miljø- og biovitenskapelige “Il commercio internazionale legale di specie selvatiche sta causando un calo di circa il 62% nell’abbondanza di specie,con le specie in via di estinzione che subiscono un calo di oltre l’80%”.
Sebbene esistano politiche che gestiscono il commercio legale di fauna selvatica, senza una ricerca completa sui suoi effetti queste leggi non possono pretendere di salvaguardare le specie in pericolo. Per i ricercatori, infatti, “I risultati delle nostre ricerche evidenziano la necessità di sviluppare migliori misure di protezione per la gestione del commercio di specie selvatiche” visto che “è anche questo commercio legale a determinare un significativo calo della biodiversità”. A quanto pare la comprensione di come questa forma di commercio stia influenzando le specie è particolarmente carente anche nelle nazioni “sviluppate”, tanto da essere uno dei principali fattori di estinzione per molti gruppi di animali che vengono comunemente venduti legalmente. Secondo David Edwards, uno dei ricercatori dell’Università di Sheffield, sappiamo che “Migliaia di specie animali vengono vendute per diventare animali domestici, medicine tradizionali e cibi di lusso, ma non sapevamo come questo influenzi l’abbondanza e la sopravvivenza delle specie in natura. La nostra ricerca, attraverso studi sul campo, ha rivelato una riduzione scioccante nella maggior parte delle specie commercializzate, che causano molte estinzioni locali. […] Livelli così elevati di prelievo suggeriscono che il commercio sia spesso insostenibile, ma gran parte del commercio viene condotto legalmente. Come società, abbiamo urgente bisogno di riflettere sul nostro desiderio di avere animali domestici esotici e sull’efficacia di quadri giuridici progettati per prevenire il declino delle specie”.
Di fatto, anche se per decenni molti ambientalisti hanno affermato che il traffico di specie selvatiche stesse portando all’estinzione di alcune di esse, per molti governi il commercio dentro certi limiti è sempre stato ritenuto “sostenibile”. Per Scott Roberton, responsabile dei programmi antitratta della Wildlife Conservation Society, “Questo studio chiarisce che il traffico commerciale di fauna selvatica è sempre una minaccia significativa” e lo ha fatto con una dettagliata analisi dei destini di 133 esemplari di mammiferi, uccelli e rettili ambientati sia tra le popolazioni di animali selvatici di aree in cui è presente un’attività di caccia e cattura, sia tra quelle che vivono in aree dove non c’è o non dovrebbe esserci questo rischio. I ricercatori di queste tre diverse Università hanno capito che “Laddove avviene il prelievo per il commercio di fauna selvatica, viene sempre riscontrato un forte calo nell’abbondanza di specie. Questo evidenzia il ruolo chiave che il commercio mondiale di fauna selvatica svolge nel rischio di estinzione delle specie. Senza una gestione più efficace, il commercio legale di animali continuerà ad essere una minacciare per la fauna selvatica”. Per gli scienziati il calo delle specie animali è peggiore per le specie vendute come animali domestici, ma un forte calo è causato anche dal commercio di carne, quindi anche dalla caccia legale e illegale. Più i siti di studio erano vicini agli insediamenti umani, maggiore era il calo dell’abbondanza e spesso le specie cacciate erano completamente scomparse dall’area di studio. Ma anche nelle aree protette il calo è drammatico, con una diminuzione della popolazione del 39%. Per Edwards ci sono pochi dubbi: “La conclusione dello studio è che il commercio di fauna selvatica spinge le specie verso il declino, spesso in modo grave, anche all’interno delle aree protette”.
Ma lo studio evidenzia anche un’altra importante falla nella ricerca sulla fauna selvatica commerciata: la maggior parte degli studi condotti fino ad oggi si sono concentrati sui mammiferi, tralasciando completamente invertebrati, anfibi o piante come orchidee e cactus, tutti organismi che vengono venduti in milioni di esemplari ogni anno. Per questo secondo David Wilcove, un biologo dell’Università di Princeton che ha commentato lo studio dei suoi colleghi, “Questa è la prima volta che un team di scienziati ha tentato di sintetizzare le informazioni esistenti su ciò che il commercio di fauna selvatica sta facendo alle popolazioni selvatiche in generale. Ma le 133 specie che ha valutato sono solo la punta dell’iceberg. Ci sono migliaia di specie vendute per le quali non abbiamo la minima idea di cosa stiamo facendo alle loro popolazioni in natura”. Per Steve Broad, direttore esecutivo della ong TRAFFIC, anche se “Potrebbero esserci altre ragioni per il declino delle specie osservato in alcune aree, come il degrado o la perdita dell’habitat” è evidente che “tutte le strategie di conservazione trarrebbero beneficio da una migliore comprensione del delicato ruolo del commercio legale di fauna selvatica”.
*articolo inizialmente pubblicato sul sito del nostro partner unimondo.org.