Libera. Diventare grandi alla fine della Storia
Molti gli interessati alla presentazione del nuovo libro della filosofa e professoressa Lea Ypi “Libera”. Un libro che, oltre a raccontare la storia personale, offre molti spunti di riflessione sul concetto di libertà.
Molti gli interessati alla presentazione del nuovo libro della filosofa e professoressa Lea Ypi “Libera”. Un libro che, oltre a raccontare la storia personale, offre molti spunti di riflessione sul concetto di libertà.
-di Silvia Kasperkovitz
Struggente e divertente allo stesso tempo. Così si può riassumere il nuovo libro dell’autrice Lea Ypi, classe 1979, presentato martedì 17 maggio a Rovereto. La serata è stata aperta da Luisa Chiodi, direttrice scientifica di Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, e moderata da Artan Puto, che ha intervistato la scrittrice.
Originaria di Durazzo (Albania), Lea Ypi è attualmente docente di Political Theory alla prestigiosa London School of Economics ed è esperta di marxismo e di teoria critica.
“Inizialmente avevo concepito l’opera come un saggio sul concetto di libertà”, racconta Lea, “ma quando ho iniziato a scrivere, quelle idee si sono tramutate in persone”. Ecco che il libro, che conta 300 pagine, unisce la riflessione filosofica al romanzo di formazione della protagonista, la stessa Lea, e degli altri protagonisti rappresentati dalla sua famiglia e dal suo popolo.
Lea aveva solo 11 anni quando crollò il regime comunista in Albania, e con quello crollarono anche le sue convinzioni. Il racconto non è però assolutamente nostalgico del comunismo, ma anzi è uno spaccato di vita personale che può aiutare gli italiani a conoscere e a capire la storia del suo popolo, ancora abbastanza sconosciuta a noi.
Tema importante è stato come veniva espressa la dissidenza sotto il regime. Lea ha una storia familiare particolare, perché nessuno nella sua famiglia era al “100% comunista”, come racconta lei: la nonna paterna proveniva da una famiglia aristocratica dell’impero ottomano, e lei parlava francese “per mantenere la sua identità di classe”. Eppure Lea ricorda che credeva fortemente nel regime e nella rivoluzione. Infatti, molte verità di famiglia emergeranno solo in quella fatidica estate del 1991.
C’erano molti modi per esprimere dissidenza nei confronti del regime: uno dei più diffusi era esporre una bottiglia di Coca Cola, magari vicino ad una foto di Enver Hoxha (il padre dell’Albania comunista). La Coca Cola, che Lea racconta di non aver mai bevuto da bambina e che arrivava in Albania solo grazie ai primi turisti, veniva trattata come un oggetto di culto. Ma cosa rappresenta? Essa rappresenta (ancora oggi) un oggetto del consumo, e all’epoca era un modo comune e silenzioso di protestare contro il regime. Per questi motivi, la copertina del libro accosta questi due oggetti di culto.
Lea parla molto tranquillamente di quegli anni, ma non nasconde che la caduta del regime abbia gettato l’Albania nella confusione più totale. Lei provava un forte scetticismo nei confronti del futuro incerto che si prospettava davanti a loro. I suoi genitori, invece, o in generale le generazioni più vecchie, pensavano in maniera completamente opposta: avendo visto e vissuto la durissima censura del regime, i più vecchi guardavano con fiducia alle promesse del liberalismo (“e anche un po’ di ingenuità”, aggiunge). Tuttavia, l’arrivo del capitalismo e del liberalismo travolse completamente il paese: è celebre la truffa della speculazione finanziaria che indebitò due terzi della popolazione albanese.
Oltre che dal punto di vista economico (l’Abania contrattò un debito estero fortissimo con il Fondo monetario internazionale), il liberalismo ha fatto un danno che dura tutt’ora: la diffidenza che i popoli dei Balcani hanno nei confronti delle istituzioni governative. Se prima c’era una dittatura feroce che reprimeva ogni libertà, l’attacco allo Stato perpetrato dal neoliberalismo (che predicava l’assenza dello stato nelle questioni economiche), ha portato i popoli ad avere una forte sfiducia nelle istituzioni, come se non avessero interesse a difendere il bene comune, portando così molti ad emigrare all’estero.
Ecco che il prodotto finale riflette sul concetto di libertà e le sue diverse interpretazioni (la libertà promessa dal comunismo e quella promessa del liberismo). Può essere da spunto per una riflessione sul passato, utile per poi interpretare le dinamiche del presente.
Il libro, in conclusione, ha ricevuto il prestigioso premio letterario della Royal Society of Literature, l’Ondaatje Prize, assegnato ogni anno a un’opera capace di “evocare lo spirito di un luogo”. Su questo, non abbiamo dubbi, c’è riuscita benissimo!
