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La “migrazione” dei rifiuti dall’Italia alla Tunisia

La notizia del traffico di rifiuti italiani diretti verso la Tunisia ha fatto molto scalpore nella popolazione tunisina, che rifiuta di essere trattata come un bidone per la spazzatura.

Un mucchio di rifiuti ordinatamente disposti. Un cane bianco in primo piano
Le organizzazioni ambientaliste tunisine sono molto impegnate riguardo la questione dei rifiuti. Foto di: Avvenire


Di Ferruccio Bellicini*

Si allarga a macchia d’olio l’indignazione per la notizia, svelata durante la serata del 2 novembre dal canale televisivo privato “El-Hiwar Ettounsi” nel corso del programma “Le quattro verità”, di tonnellate di rifiuti, forse anche ospedalieri, arrivati sulle sponde del Paese nord africano, con partenza dall’Italia.

Mentre continua il tira e molla, con contatti di livello pressoché giornalieri fra il governo italiano e le autorità tunisine (l’ultimo un colloquio telefonico fra il Presidente tunisino Kaïs Saïed e Giuseppe Conte), per trovare soluzioni che possano arginare le partenze clandestine di esseri umani verso l’Italia, si é chiuso un occhio, e forse tutti e due, per un fenomeno che, quasi certamente, si protrae da tempo: il trasporto di rifiuti italiani verso la Tunisia.

Cosa dice la legge?

Sulla legalità di questo business se ne stanno occupando il governo e la magistratura tunisini. Saranno questi ultimi a determinare se il tutto si é svolto nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali relative alla circolazione di rifiuti, sia urbani che tossici.

Come ha scritto in un articolo apparso il 5 novembre il sito sicurezzainternazionale.luis “in Tunisia, le attività di raccolta, trasporto e gestione dei rifiuti sono regolate da una serie di convenzioni internazionali, firmate dal Paese nordafricano, oltre a misure nazionali. In particolare, gli imprenditori e le aziende interessate devono ottenere l’approvazione dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (ANGED), sviluppare uno “studio di impatto ambientale” e presentarlo all’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (ANPE). Tali agenzie, collegate al Ministero dell’Ambiente, sono responsabili dell’approvazione dei fascicoli presentati. 

Per quanto riguarda gli accordi internazionali, la Tunisia ha firmato la Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e il loro smaltimento, adottata il 22 marzo 1989 e la Convenzione di Bamako sul divieto di importazione in Africa di rifiuti pericolosi e sul controllo dei movimenti transfrontalieri e la gestione dei rifiuti pericolosi nel continente. Infine, Tunisi ha anche firmato i codici europei dei rifiuti.

Una notizia che ha mobilitato la società civile

Dal momento in cui la notizia é diventata di dominio pubblico in novembre, pur essendo il fatto stato segnalato dalla dogana tunisina lo scorso luglio, a causa di una discordanza fra quanto dichiarato dall’importatore, materiale plastico riciclabile, e il reale contenuto dei containers, si sono susseguiti in ordine sparso ma incessante, interrogazioni parlamentari, dichiarazioni di politici, ambientalisti, giornalisti, magistrati, e chi più ne ha più ne metta. Senza parlare dei social nei quali, fra l’altro, sono filtrate valutazioni pseudo-sociologiche, scomodando il colonizzatore (l’Italia) che avrebbe invaso di rifiuti il colonizzato (la Tunisia) o di una Tunisia diventata “il bidone della spazzatura dell’Italia”.

Sabato 7 novembre le organizzazioni della società civile di Sousse hanno indetto una marcia di protesta in città per denunciare lo scandalo sull’introduzione di rifiuti dall’Italia in Tunisia. Condannando questa situazione, che avrebbe “trasformato la Tunisia in una discarica dei Paesi europei”, i manifestanti hanno gridato forte che “la colpa é della politica dei vari governi che, impegnandosi con continui prestiti contratti all’estero, hanno affogato il Paese in un mare di debiti, costringendolo ad accettare ogni compromesso.”

Fermo restando il diritto alla libertà di pensiero e parola rimangono i fatti: un affare privato, fra una società italiana ed una tunisina, del quale pero’ devono essere definiti i contorni per valutarne la legalità operativa. Le due società coinvolte sarebbero una italiana con sede a Napoli e una tunisina con sede a Sousse (Tunisia centro). Alcuni organi di stampa ne hanno anticipato i nomi, ma per ora si tratta di illazioni, non essendoci conferme ufficiali. Da alcune indiscrezioni si é saputo che la  società privata tunisina avrebbe chiuso i battenti nel 2012 per riprendere i suoi servizi solo di recente.

Indagini in corso

Secondo il portavoce del tribunale di primo grado di Sousse, a tal fine è stata aperta un’indagine giudiziaria. Parlando all’antenna radio Mosaic FM, ha detto che “questa indagine è stata aperta in seguito alla raccolta di alcuni dati: sono recentemente arrivati ​​in Tunisia 70 container di rifiuti dall’Italia, che ne trasportano 120 tonnellate. Più altri 200 container che sono bloccati da luglio nel porto di Sousse”.

Contemporaneamente, il direttore delle Dogane tunisine, Haytem Zaned, ha confermato che “i 70 container sono stati sigillati ed è probabile che verranno rispediti in Italia, mentre gli altri 212 si trovano ancora a Sousse”. Il 3 novembre il Ministero degli Affari Locali e dell’Ambiente ha annunciato l’apertura di un’indagine senza nominare le aziende coinvolte. Ha detto di “non aver concesso alcuna autorizzazione alla società tunisina” e che “non esiterà a prendere tutte le misure legali appropriate di fronte a questo tipo di operazioni”. L’azienda tunisina riceverebbe 48 euro per ogni tonnellata di rifiuti importata.

Secondo quanto pubblicato dalla testata online Webdo il 9 novembre, “il Presidente della commissione per la riforma amministrativa e la lotta alla corruzione, Badreddine Gammoudi, si è dichiarato non convinto dalle spiegazioni del Ministro dell’Ambiente e degli Affari Locali in materia di importazione di rifiuti dall’Italia. Il Ministro ha cercato di presentare un ‘capro espiatorio’ senza destare sospetti all’interno del suo dipartimento”, ha detto dopo un’audizione. Gammoudi ha ribadito “la presenza di sconfinamenti nelle più alte strutture del Ministero dell’Ambiente, sottolineando che il caso è ormai un reato di corruzione e non un sospetto”. Secondo il deputato, “gli alti funzionari del suddetto ministero sono implicati in questo ‘crimine’ per frode, complicità e coinvolgimento diretto nel processo”.Anche gli ambientalisti tunisini hanno fatto sentire, forte, la loro voce. Adel Hentati, consigliere di molte ONG e specialista della protezione ambientale tunisina, ha confermato che “tra i rifiuti filmati ci sono scarti ospedalieri, la cui raccolta è regolata da normative specifiche vista la pericolosità che rappresentano”.

Una questione aperta

L’esperto non ha mancato di ricordare che “la maggior parte delle discariche in Tunisia sono controllate da aziende italiane” affermando che “il nostro Paese ha vissuto solo di recente queste pratiche scioccanti e denunciando il blackout operato dal Ministero dell’Ambiente”. “E’ un crimine ambientale punito dalla legge” ha ribadito, in una dichiarazione rilasciata all’agenzia di stampa AFP. Abdelmajid Dabbar, Presidente e fondatore della ONG Tunisie ecologie, strenuo difensore della flora e della fauna tunisine, da noi contattato, ci ha rilasciato la seguente dichiarazione: “La nostra associazione si è unita con un collettivo di oltre trenta altre associazioni iniziando una campagna mediatica per chiede alle autorità competenti di vietare che ogni tipo di rifiuto possa entrare in Tunisia”.

In un comunicato da loro diffuso, molto duro, si legge: “Chiediamo di perseguire le società implicate e i suoi rappresentanti in tribunale sulla base del diritto penale tunisino. Infatti, in base all’articolo 14 della legge n. 2015-26 del 7 agosto 2015, relativo alla lotta al terrorismo, questo gruppo di ONG resta fermo di fronte alla questione dell’importazione di rifiuti. Chiunque danneggi l’ambiente, in modo tale da compromettere l’equilibrio dei sistemi alimentari e ambientali, o delle risorse naturali, o da mettere in pericolo la vita degli abitanti o la loro salute, è colpevole di un reato di tipo terroristico”.

Certamente “l’affaire” non terminerà qui.

*Ferruccio Bellicini è corrispondente di Unimondo, partner di falacosagiustatrento.org

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