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Plastiche, microplastiche e sacchetti… Ovunque

Le borse biodegradabili ci hanno veramente salvato dalle microplastiche?

Anche se dopo anni di tentativi e proroghe il classico shopper in plastica è stato quasi – ma purtroppo non ancora totalmente– bandito, plastiche e soprattutto microplastiche, ovvero minuscoli pezzi di materiali plastici, solitamente inferiori ai 5 millimetri, restano un tipo d’inquinamento altamente pervasivo, dato che la loro presenza è stata accertata ormai ovunque: nell’acqua, nell’aria e pure all’interno del corpo umano.

La plastica entra inconsapevolmente nei nostri piatti. Da Google immagini

Pensate che una persona inghiotte ogni anno fino a 68.415 minuscole particelle di plastica potenzialmente pericolose semplicemente sedendosi a tavola. Secondo lo studio “Low levels of microplastics (MP) in wild mussels indicate that MP ingestion by humans is minimal compared to exposure via household fibres fallout during a meal”, pubblicato due anni fa su Environmental Pollution da un team di ricercatori britannici “la plastica, che può provenire per esempio da arredi morbidi e tessuti sintetici, entra nella polvere domestica che cade sui piatti e viene normalmente consumata”. Mettendo durante i pasti delle trappole appiccicose per la polvere sul tavolo da pranzo accanto ai piatti in alcune case campione, i ricercatori si sono accorti che: “alla fine di un pasto di 20 minuti sono stati trovati fino a 14 minuscoli pezzi di plastica nelle piastre di Petri”, quindi “l’equivalente di 114 fibre di plastica che cadevano in media su un piatto per il pranzo, date le sue dimensioni molto più grandi”. La conclusione degli scienziati britannici è che “una persona inghiotte fino a 68.415 fibre di plastica potenzialmente pericolose all’anno, semplicemente sedendosi a mangiare” e “indipendentemente dal cibo che consuma”.

Come combattere il fenomeno delle microplastiche?

Un’analisi pubblicata a fine 2020 dall’Europarlamento ci ricorda che il lavaggio di indumenti sintetici “rappresenta il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente”. Un unico carico di bucato di abbigliamento in poliestere, quindi, può “comportare il rilascio di 700.000 fibre di microplastica che possono finire nella catena alimentare” assieme ad altre fonti di microplastiche primarie dovute all’abrasione dei pneumatici durante la guida (28%) e quelle aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo come per esempio, le micro-particelle dello scrub facciale (2%).

Quando si parla di inquinamento da plastiche, però, il problema degli shopper è ancora il più visibile e anche se è solo una piccola parte del problema è importante fare un po’ di chiarezza. Come molti di noi già fanno da tempo, la soluzione migliore per portarsi la spesa a casa è quella di dotarsi di sacchetti in tela oltre a specifici sacchetti in rete riutilizzabili per frutta, verdura e prodotti freschi. In questo modo siamo sicuri di abbattere buona parte della nostra impronta ecologica, almeno nel campo delle shopper. Sì perché comunque “l’utilizzo di prodotti in plastica biodegradabile e compostabile possono, in alcuni casi e per determinate applicazioni, aiutare a ridurre l’inquinamento ambientale dovuto alla plastica, ma sono ben lungi dal costituire una soluzione generale e sufficiente”. Parola di Almut Reichel, esperta dell’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) nel campo dell’uso sostenibile delle risorse e dei rifiuti.

Il primo passo per districarsi nel campo delle nuove “eco-shopper” è capire quanto siano rispettosi dell’ambiente questi nuovi prodotti in plastica biodegradabile, compostabile e a base biologica.  La sostenibilità dei materiali a base biologica, così come della plastica a base fossile, dipende dalle tecniche di produzione, dalla durata dei prodotti e dal trattamento alla fine del ciclo di vita, ma è molto importante che i cittadini conoscano e comprendano queste differenze. Per Reichel, infatti, “se i consumatori credono che gli imballaggi che recano l’etichetta «a base biologica» siano compostabili e possano essere gettati nel contenitore dei rifiuti organici,  potrebbero viceversa aumentare l’inquinamento da plastica”.

Le dichiarazioni in base alle quali un prodotto è compostabile o biodegradabile devono essere precise e chiaramente correlate alle condizioni in cui sussistono effettivamente tali proprietà. “Ad esempio, i prodotti in plastica compostabile industrialmente sono progettati per biodegradarsi in condizioni specifiche e controllate negli impianti di compostaggio industriale. Non sono necessariamente (completamente) compostabili nelle compostiere domestiche, che in genere raggiungono solo temperature più basse e in cui condizioni come l’umidità e la presenza di microrganismi presentano una notevole variabilità”, ha spiegato Reichel.

In un’economia circolare, tutta la plastica dovrebbe essere riciclata sin da subito per produrre nuova plastica. Quando un prodotto in plastica compostabile o biodegradabile viene sottoposto a compostaggio, non è possibile usarlo per produrre dell’altra plastica e tutta l’energia spesa per produrlo va persa. Non sarebbe quindi meglio vietarne l’uso? Per l’esperta dell’Aea “La prevenzione e la riduzione dei rifiuti di plastica dovrebbero essere la massima priorità. Per questo dobbiamo intensificare gli sforzi per evitare di produrli, considerato che la quantità di rifiuti di plastica continua ad aumentare. […] Dobbiamo progettare e usare la plastica in modo circolare e assicurarci che possa essere e sia effettivamente riciclata in misura molto maggiore rispetto all’attuale”.

Non per caso nel 2018 la Commissione europea ha pubblicato la Strategia europea per la plastica nell’economia circolare, che impegna l’Unione Europea a ridurre i rifiuti di plastica, a garantire che i prodotti di plastica siano progettati in modo da poter essere riciclati e a investire nel riciclaggio della plastica. Inoltre, la direttiva sui prodotti di plastica monouso del 2019 limita l’introduzione nel mercato dell’Unione di determinati prodotti di plastica monouso e impone la riduzione del consumo per un insieme di altri prodotti. Tali requisiti sono in vigore anche per i prodotti in plastica a base biologica, biodegradabile e compostabile. In particolare, per quanto riguarda la plastica biodegradabile, il Piano d’azione dell’Unione Europea per l’economia circolare 2020 prevede di creare un quadro politico chiaro che comprende norme armonizzate per definire ed etichettare la plastica compostabile e biodegradabile e individuare in quali applicazioni l’utilizzo di tale plastica apporti reali benefici per l’ambiente. “Ora dobbiamo fare in modo che queste politiche siano adeguatamente attuate in tutta Europa” dichiara infine Reichel.

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