I cambiamenti climatici prendono quota
L'ecosistema alpino è severamente minacciato dal cambiamento climatico.
Giornalista pubblicista, laureata in Bioetica presso la Facoltà di Scienze Filosofiche di Bologna, ha frequentato a Roma la scuola di Scienze politiche internazionali, cooperazione e sviluppo di Focsiv e ha lavorato presso il Ministero dell’Interno . Collabora regolarmente con realtà che si occupano in particolare di divulgazione ambientale, aree protette e sviluppo sostenibile.
Se pensiamo al riscaldamento globale e alle sue conseguenze per il mondo alpino, la prima cosa che ci viene in mente, la più evidente e la più scenograficamente impattante è lo scioglimento dei ghiacciai. Ma, seppur conseguenza tragica, non è purtroppo l’unica a minacciare le Alpi e anzi rimane una concausa di molti altri cambiamenti che stanno minando la stabilità di questo complesso ecosistema.
Uno dei peggiori effetti dovuti al cambiamento climatico è nel rischio concreto che molte delle specie tipiche alpine possano scomparire. Lo evidenzia uno studio coordinato dal dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano, dal quale emerge come la flora – simbolo iconico dell’arco alpino – rischi di ridursi in maniera drastica come esito del ritiro dei ghiacciai. Una conseguenza che sembrerebbe in prima battuta smentita dall’iniziale aumento delle varietà che segue lo scioglimento dei ghiacci (di fatto si rende disponibile più spazio per le piante) ma che, nel medio-lungo periodo, porterà alla scomparsa o alla totale estinzione del 22% delle specie considerate, studiate combinando i dati storici sul ritiro di quattro ghiacciai italiani con le condizioni ambientali locali e la distribuzione e le caratteristiche ecologiche di 117 specie di piante. Senza contare che i cambiamenti che avvengono a monte provocano mutamenti anche negli ecosistemi di valle, essendo le Alpi un concentrato di microclimi diversi (dai pendii agli avvallamenti ai crinali e alle diverse inclinazioni che li caratterizzano) con disponibilità di acqua, luce e nutrienti molto diversi per ciascun habitat.
Lo studio, pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution, rileva come non tutte le specie siano uguali e come alcune, le cosiddette “vincitrici”, perfino beneficino del riscaldamento globale, essendo maggiormente competitive. Le analisi hanno messo in luce significative modifiche nelle interazioni all’interno delle comunità vegetali evidenziando d’altro canto come le specie più cooperative potrebbero ridursi entro appena 100 anni. Un tempo brevissimo se consideriamo quello necessario al mondo vegetale per elaborare adattamenti evolutivi che permettano di fronteggiare questi cambiamenti repentini e quindi di ambire alla sopravvivenza.
Se pensiamo che, in Europa, le Alpi rappresentano la regione più ricca di specie vegetali con oltre 5 mila funghi, 4.5 mila piante vascolari (il 39% della flora europea), 2.5 mila licheni, 800 muschi, 300 epatiche, ci rendiamo conto di quanto importante sia questo ecosistema e di quanto a rischio siano piante anche molto conosciute, come il pino cembro o il rododendro rosso. Non rischiano però solo le specie più note: in pericolo sono anche il ranuncolo dei ghiacciai, la draba stellata o l’androsace alpina che, colonizzando altitudini sempre maggiori, entrano in concorrenza con specie più rare e abituate a temperature più basse. Una migrazione sempre più verso l’alto, stimata per il 2100 in 600 metri/quota, migrazione con la quale le piante, proprio per il loro diverso rapporto con il tempo, non riusciranno a tenere il ritmo. “Gran parte dei boschi, infatti, si sposta a una velocità di circa 100 chilometri in 100 anni e alcune specie erbose percorrono addirittura solo quattro metri in 100 anni”, sottolineano i colleghi di Lifegate.
Con la flora poi migra anche la fauna, innescando mutamenti riconosciuti anche da rilevamenti effettuati dal MUSE – Museo delle Scienze di Trento. Emblematica la situazione dello stambecco che, privo di ghiandole sudoripare, ha necessità di spostarsi in ambienti più freddi e si trova invece di fronte a un territorio inevitabilmente sempre più ridotto e più caldo; ma decisamente critico l’orizzonte anche per la penice bianca, la lepre bianca, l’ermellino e alcune farfalle, preziose indicatrici dello stato di salute e di biodiversità ambientali.
Così come per le piante, anche per gli animali la distanza dalle principali attività antropiche non è più sufficiente per difendersi: gli effetti dei cambiamenti climatici portano le loro conseguenze anche in quota, modificando microclimi rimasti inalterati per secoli, ma ancora non inducendoci abbastanza a modificare invece le nostre abitudini e le nostre azioni, tra le quali risulterebbe prioritaria – come più volte anche noi ricordiamo –l’implementazione di buone pratiche agricole e l’istituzione di nuove aree protette, insieme alla tutela di quelle già presenti.
*Articolo originariamente pubblicato sul sito del nostro partner unimondo.org.