L’intelligenza artificiale al servizio dell’Agenda 2030?
Greta Sofia Lampis si è laureata all’Università di Bolzano con una tesi in cui studia il legame tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e l’intelligenza artificiale. Ci siamo fatti raccontare i risultati del suo lavoro.

Sono due temi molto caldi nel dibattito attuale e sono legati. Intelligenza artificiale e obiettivi di sviluppo sostenibile sono stati al centro della tesi di laurea magistrale di Greta Sofia Lampis, studentessa dell’Università di Bolzano che si è laureata in Politiche pubbliche e amministrazione quest’anno.
Greta aveva già dedicato la tesi triennale all’intelligenza artificiale, in particolare all’impatto che ha sul mondo del lavoro. “Ho iniziato a interessarmi a questo tema all’università – spiega – perché, studiando economia, ho incontrato il concetto di disruptive technologies, che sono tutte quelle tecnologie che portano a una ‘distruzione creatrice’ in grado di produrre innovazioni dirompenti sul mercato. Ho deciso che avrei cercato di capire se l’intelligenza artificiale, che porta un cambiamento radicale nell’economia, riesca ad avere degli impatti positivi sugli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Il legame tra intelligenza artificiale e obiettivi di sviluppo sostenibile è stato studiato da Greta Sofia Lampis “incrociando” due indicatori: lo Stanford HAI AI Index, che misura lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in un Paese, e il Bertelsmann Index, che riassume il progresso di una nazione verso i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Sono stati considerati i dati per 25 Paesi (non solo europei) tra il 2017 e il 2019.
Quindi qual è l’impatto dell’intelligenza artificiale sugli obiettivi di sviluppo sostenibile?
Non c’è una risposta univoca, anche perché i diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile sono divisi in molti indicatori che spaziano su diversi temi: dalla salute all’educazione all’impatto sul clima. È un tema molto vasto e complicato, e l’intelligenza artificiale non è da meno.
Quello che risulta da un’analisi della letteratura e da un’analisi statistica che ho provato a fare nella mia tesi è un effetto duale. Ci sono aspetti su cui l’intelligenza artificiale ha delle applicazioni molto promettenti, come la salute, l’istruzione, la povertà e la vita sulla Terra, che è l’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 15. Ma ci sono anche degli ambiti per i quali può essere un’arma a doppio taglio, basti pensare alle disuguaglianze e a come le tecnologie vengono distribuite tra Paesi e all’interno degli stessi Paesi. È uno strumento che deve essere indirizzato, che può avere sia effetti positivi sia effetti negativi. Perciò entrano in gioco le politiche pubbliche e le decisioni dei manager su come indirizzare questa tecnologia, che ha un potenziale forte, anche se ambivalente.
Nella tua tesi hai preso in considerazione anche le pratiche messe a disposizione dal Think Tank “Al for Sustainable Development Goals”… Di che cosa si tratta?
È un sito dove, per ogni obiettivo di sviluppo sostenibile, vengono presentati dei progetti di intelligenza artificiale che possono contribuire allo sviluppo dell’obiettivo in questione. C’è un’applicazione che usa un algoritmo di machine learning per analizzare delle immagini satellitari e, attraverso queste foto, cerca di rilevare lo stato di malnutrizione nella popolazione. È utile per identificare le zone più affette dal problema della malnutrizione, per capire dove è necessario intervenire. Per quanto riguarda gli oceani, invece, c’è un altro progetto che usa l’intelligenza artificiale per individuare dove vengono svolte le pratiche di pesca illegali che danneggiano i fondali marini.
Hai affrontato anche le critiche che a volte vengono mosse all’intelligenza artificiale, che rischia di creare dei contesti “disumanizzanti”?
Non direttamente. Penso però che si debba avere una visione e sapere cosa si vuole raggiungere attraverso l’intelligenza artificiale. Se la si usa per rimpiazzare delle persone, allora sì, si rischia una perdita dell’interazione umana. Ora l’intelligenza artificiale viene usata spesso anche nei colloqui di lavoro, e riproduce dei “bias” dovuti al modo in cui è stato programmato l’algoritmo. Ma sono “bias” della persona che programma che vengono trasferiti sull’algoritmo, ampliando di fatto il raggio delle discriminazioni anche all’intelligenza artificiale.
Ti riferisci alle disuguaglianze di genere replicate dai meccanismi di ricerca di lavoro creati con l’intelligenza artificiale?
Anche. L’intelligenza artificiale viene costruita in base ad alcuni dati. Gli algoritmi di machine learning, in particolare, hanno bisogno di una grande mole di dati. Ed è chiaro che, se ho una serie di dati storici dove i manager sono tutti uomini, allora l’algoritmo per quella determinata posizione tenderà a preferire un candidato uomo.
Quali sono invece degli effetti positivi dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro?
Ci sono dei casi in cui l’intelligenza artificiale è stata usata per aiutare le persone affette da Alzheimer, attraverso la realtà aumentata, a ricostruire i loro ricordi. E con l’intelligenza artificiale si può tenere compagnia alle persone in isolamento. C’è un effetto ambivalente e si torna sempre sul “dipende da come viene utilizzata”. Nella mia tesi triennale, in cui ho studiato il rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, ho sottoposto un questionario ad alcune aziende altoatesine. È emerso che non molte aziende in Alto Adige hanno introdotto questo strumento, ma che lo guardano con grande interesse, anche perché può permettere ai lavoratori di liberarsi dall’attività più routinaria per svolgere mansioni più creative.