Epidemie, guerra e crisi economica mostrano i “limiti dello sviluppo”
“Dobbiamo condividere, non accumulare, perché la biosfera, le risorse fossili e i materiali a nostra disposizione non sono infiniti. Il problema climatico è un problema di risorse: se non cambiamo strada, arriveremo a una crisi di sistema”, afferma nell'intervista Claudio Della Volpe, ex docente dell'Università di Trento

Uno degli autori de “I limiti dello sviluppo” (1972), Jorgen Randers, già nel 2008 scriveva che “il 21° secolo potrebbe più probabilmente essere descritto come un periodo di intensi scontri locali, crisi istituzionali, malessere regionale e globale”.
“Più probabilmente” rispetto a cosa? Randers scriveva così perché sosteneva che i quattro fenomeni che avrebbero caratterizzato il 21° secolo – epidemie, guerra, fame diffusa e crisi economica – avrebbero “rubato” la scena e le pagine dei giornali alla loro vera causa: il “collasso globale”, “una situazione nella quale la società nel suo complesso prima supera la velocità sostenibile di emissione dei gas serra, e poi sperimenta un improvviso, indesiderato e inarrestabile declino nel benessere medio di centinaia di milioni dei suoi cittadini”.
“La causa di tutte queste crisi, il collasso globale, viene da lontano: il nostro sistema economico è basato su uno sviluppo infinito, ridicolo se si considera che viviamo in un sistema finito”, ci spiega Claudio Della Volpe, chimico termodinamico ed ex professore dell’Università di Trento, che nel 2008 aveva tradotto in italiano l’articolo scritto da Jorgen Randers per “Futures”, una rivista che si occupa di sostenibilità dagli anni Settanta. “Dobbiamo condividere, non accumulare – aggiunge Della Volpe –, perché la biosfera, le risorse fossili e i materiali a nostra disposizione non sono infiniti. Il problema climatico è un problema di risorse: se non cambiamo strada, arriveremo a una crisi di sistema. È una conclusione alla quale è arrivato un gruppo di scienziati dell’MTI (Massachusetts Institute of Technology) è arrivato nel 1972: niente di rivoluzionario, quindi. Loro prevedevano che la crisi di sistema sarebbe avvenuta nell’arco di cent’anni: siamo a metà di questo tragitto e abbiamo percorso in buona parte una strada economica e ambientale che ha portato all’inquinamento e alla degradazione dei sistemi”.
“La causa basilare di tutti i racconti precedenti – scriveva Randers parlando di epidemie, guerra, fame diffusa e crisi economica -, e cioè il cambiamento climatico, può mancare dai titoli di testa. Invece i media potrebbero focalizzarsi sugli eventi più immediati, come le alluvioni, la migrazione, la fame, i conflitti locali, la disoccupazione e il fallimento dei governi”.
La pandemia e la guerra in Ucraina, dove la questione delle risorse gioca un ruolo non da poco, secondo questa teoria sarebbero solo degli esempi di un “collasso globale” prodotto da un modello di sviluppo insostenibile. “Se ci pensiamo – aggiunge Della Volpe – la pandemia è il risultato dell’invasione degli spazi di un’altra famiglia di mammiferi, i pipistrelli, da parte dell’uomo. Se noi ce ne appropriamo, è chiaro che i loro virus possono coinvolgerci: proprio in questi giorni è uscito un articolo sulla rivista ‘Nature’ che conferma il ‘meccanismo Wuhan’”.
Aumenta anche il “costo energetico” dell’energia: che vuol dire?
“Oggi il rapporto tra energia estratta ed energia impiegata per estrarla si è ridotto a dieci – prosegue Della Volpe – mentre cent’anni fa ammontava a cento e cinquant’anni fa a trenta. Un esempio ‘concreto’? Estrarre un barile di petrolio in un modo in cui, per ottenerlo, ci vuole un altro barile di petrolio diventa inutile”.
Ad aumentare, quindi, non è solo il costo economico dell’energia, ma anche il suo costo energetico, cioè quanta energia ci vuole per ottenere energia. Con questo incremento, anche sprecare diventa difficile o, meglio, anche sprecare diventa “uno spreco”. “Non abbiamo l’energia necessaria per produrre i materiali usa e getta”, dice Della Volpe, che scrive, assieme ad altri chimici, sul blog “La Chimica e la Società”. “Dal punto di vista della termodinamica, dunque, è chiaro che si deve raggiungere uno stato stazionario e che non si può continuare a crescere all’infinito in un sistema finito come il nostro; casomai si può crescere in qualità, non in quantità. Dobbiamo capire anzitutto se tutto ciò che produciamo ci serve. È necessario produrre ogni anno più del precedente?”.
Il Global Footprint Network (GFN): l’umanità è stata sostenibile fino agli anni Ottanta
Nel suo articolo, Randers menzionava anche il Global Footprint Network di Mathis Wackernagel, che cerca di misurare “l’impronta ecologica umana, la capacità di carico del pianeta e da qui il grado di sovrasfruttamento”. Nel 2008, l’umanità usava già il 25 per cento di terra in più rispetto a quella disponibile sul pianeta. Sempre usando le misure del Global Fooprint Network, l’umanità sarebbe stata sostenibile solo fino agli anni Ottanta.