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L’era dove gli scarti non sono solo cose ma anche persone: il “Wasteocene”

Marco Armiero, autore del libro “L’era degli scarti”: “C’è ancora l’idea neoliberista per la quale se una persona finisce in discarica, se diventa uno scarto, allora la colpa è sua. Poco importa se nasce nel posto sbagliato, se è malata, se è povera”.

L’era degli scarti, scritto da Marco Armiero, sui luoghi e le persone di scarto

C’è un muro che separa il “paradiso dei prescelti” e l’inferno in cui giacciono gli scarti, che non sono solo rifiuti ma che nell’era del “Wasteocene” sono diventati anche persone. “Ogni paradiso ha bisogno del suo inferno in modo talmente tanto forte che, se non c’è, lo crea”, ci spiega Marco Armiero, professore universitario che si divide tra Stoccolma e Roma, direttore del Laboratorio di Scienze Umane per l’Ambiente e autore del libro “L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale” (Einaudi, 2021). Il termine “Wasteocene”, infatti, deriva proprio dall’inglese “waste”, che indica lo scarto ma anche l’azione di scartare: persone, non solo cose. “Il libro – racconta Armiero – nasce dopo una lunga stagione di ricerca iniziata con la crisi dei rifiuti in Campania, tra la fine degli anni Novanta e la fine degli anni Duemila. Quello che ho provato a fare in questo volume è stato passare dal rifiuto inteso come oggetto – l’immondizia per strada, per intenderci – alle relazioni socio-ecologiche che producono comunità di scarto”.

Il Wasteocene vs l’Antropocene: “Non si incontra un umano, ma una persona con tutte le sue differenze”

Il Wasteocene si contrappone all’Antropocene che, spiega Armiero, “fa venire l’orticaria a chi ha ragionato sulle differenze e sulle relazioni di potere”. “Ai miei studenti – continua Armiero – domando sempre se hanno mai incontrato ‘gli umani’. Io no. Quando incontro qualcuno, incontro un uomo bianco eterosessuale di classe media del nord del Mondo o una donna afroamericana”.

“Finisci in discarica? Secondo il neoliberismo, è perché te lo sei meritato, ma non è così”

Un impulso alla stesura del libro è venuto dalla serie televisiva brasiliana 3%, andata in onda su Netflix. “Il 3% racconta un futuro prossimo in cui il Brasile è diviso in due parti – dice Armiero -, una di persone che vivono in alto mare, su un’isola artificiale, e una di persone che vivono nel continente perché non hanno superato un test”. Il 3% è la parte di popolazione che ha risposto correttamente alla prova e ha potuto accedere all’isola artificiale. “3% racconta che anche le persone, a volte, vengono considerati degli scarti da confinare in discarica – prosegue Armiero -. C’è ancora l’idea neoliberista per la quale se una persona finisce in discarica, se diventa uno scarto, allora la colpa è sua. Poco importa se nasce nel posto sbagliato, se è malata, se è povera. Questa è la potenza della narrazione del Wasteocene”. Una narrazione che cozza con l’idea di don Lorenzo Milani, che scriveva che “non c’è peggior ingiustizia del dare cose uguali a persone che uguali non sono”. “Il Wasteocene nega la possibilità di ragionare sul commoning, sul creare comunità – dice Armiero -; in questa sorta di concorso per arrivare all’’isola dei perfetti’ viene ribadito il concetto che si deve essere più furbi, più scaltri e che si deve fregare gli altri”.

La pandemia, una grande livellatrice? “No, la pandemia ha rivelato ancora una volta la logica del Wasteocene”

Non è entrata in gioco la livella di Totò durante la pandemia che, secondo Armiero, “ha rivelato la logica del Wasteocene”. “Alcuni sono stati più esposti di altri al virus”, afferma Marco Armiero, anche per esperienza personale: “Mi sono ammalato di Covid-19 nel marzo del 2020, quando ero in Svezia, dove ho ricevuto tutte le cure necessarie. Nel periodo di convalescenza ho avuto la possibilità di stare in malattia in una casa comoda con connessione internet e acqua potabile. È chiaro quindi che il virus ha un impatto che supera le differenze perché colpisce indistintamente, ma è anche vero che le sue ripercussioni sono diverse, perché la pandemia ha reso visibili e fatto riemergere disuguaglianze e crisi già presenti”.

Marco Armiero ha notato che il periodo di pandemia ha fatto emergere delle disuguaglianze

Il Vajont, un esempio da manuale: la comunità alpina è stata considerata come “uno scarto”

Il Vajont viene menzionato ne “L’era degli scarti” come “un esempio da manuale”. “È stato anche incluso dall’Unesco tra le storie che dovrebbero prepararci a non fare gli stessi errori, che in inglese si chiamano precautionary tales”. Perché questa storia avrebbe a che fare con il Wasteocene? “La gente di montagna, in questo caso, è stata considerata come una comunità fatta da persone che non contano – dice Armiero – in un’Italia che a quell’epoca, negli anni Sessanta, era in pieno boom economico”. La vicenda del Vajont, poi, sarebbe secondo Marco Armiero un esempio delle “narrative tossiche”. “Si tratta delle narrative che silenziano, naturalizzano o normalizzano l’ingiustizia – prosegue Armiero -: di Vajont, prima dei racconti di Marco Paolini, attore teatrale, non si parlava perché cozzava con la storia del miracolo economico, di come siamo diventati più ricchi e più felici”. Anche il dolore, nel comune di Longarone, dove giace il cimitero delle vittime del Vajont, sarebbe stato “normalizzato” e “istituzionalizzato”. “Lucia Vastano, autrice di ‘Vajont, l’onda lunga’, ha raccontato la storia dei due cimiteri del Vajont – conclude Marco Armiero -. Il primo è stato creato dai parenti delle vittime, e in quel cimitero molto vissuto i superstiti e i parenti andavano a gridare il loro dolore e la loro rabbia. Questo cimitero, però, viene abbattuto e viene creato al suo posto un cimitero monumentale dove le lapidi si assomigliano molto: tutte dello stesso colore, tutte con la stessa altezza. È una narrativa tossica che cerca di anestetizzare il dolore, facendo capire che sì è possibile provare dolore, ma solo in un certo modo. Si può piangere, si può fare un minuto di silenzio ma non si può gridare contro l’ingiustizia”.

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