Metter su casa e riprodursi: una questione di clima
Qualche giorno fa mi è capitato di fare una passeggiata in campagna: i primi profumi della primavera, i primi bottoni rossi tra le timide foglie dei meleti, le prime macchie di verde a colorare il paesaggio polveroso di un inverno troppo caldo e troppo secco. E noi umani, con la nostra presenza rumorosa e incurante: […]
Giornalista pubblicista, laureata in Bioetica presso la Facoltà di Scienze Filosofiche di Bologna, ha frequentato a Roma la scuola di Scienze politiche internazionali, cooperazione e sviluppo di Focsiv e ha lavorato presso il Ministero dell’Interno . Collabora regolarmente con realtà che si occupano in particolare di divulgazione ambientale, aree protette e sviluppo sostenibile.

Qualche giorno fa mi è capitato di fare una passeggiata in campagna: i primi profumi della primavera, i primi bottoni rossi tra le timide foglie dei meleti, le prime macchie di verde a colorare il paesaggio polveroso di un inverno troppo caldo e troppo secco. E noi umani, con la nostra presenza rumorosa e incurante: lo sferragliare dei treni lungo l’asse della ferrovia, i clacson sulla statale e quello sfrecciare senza sosta in autostrada. Spesso sono queste le campagne che conosciamo: ritagli di terra tra la vita che corre sull’asfalto o sui binari.
Mentre cercavo di immergermi in uno di quei ritagli, astraendomi da tutto quel fragore impostore, riemergevano anche le voci degli uccelli: di ritorno dalle migrazioni o usciti dalle restrizioni dell’inverno, il loro canto indaffarato era un dialogo continuo, impaziente. E a un volume impressionante. Già, perché negli uccelli uno degli sforzi evolutivi a cui si assiste negli ultimi anni è proprio questo: il tentativo di sovrastare l’inquinamento acustico provocato dalle nostre attività, che li costringe a cinguettare aumentando sempre più i decibel nella speranza di riuscire ancora a sentirsi e a comunicare.
Non è questa però l’unica modificazione imposta dalla convivenza con questa specie dispotica e prepotente che è la specie umana. Per l’avifauna anche il cambiamento climatico sta generando, come d’altronde per molti altri selvatici, impatti pesanti. È una considerazione di facile intuizione, se pensiamo che noi stessi siamo vittime di ciò di cui non riusciamo a invertire la rotta, e di cui siamo causa dal peso rilevante.
Ma il riscaldamento dell’atmosfera, dovuto in particolare all’utilizzo di combustili fossili, sta provocando variazioni impensabili in ritmi naturali che sembravano immutabili – come per esempio l’arrivo della primavera e l’inizio di quei rituali correlati: le giornate che si allungano, le piante che sbocciano, un aumento graduale nelle attività degli alveari e della natura in generale.
Proprio su questi punti di riferimento nel ciclo delle stagioni il cambiamento climatico fa inceppare i ritmi: è un gruppo di scienziati statunitensi a rilevarlo, analizzando le abitudini nella costruzione del nido e alcuni campioni di uova di uccelli e scoprendo che, per le 72 specie di cui esistono dati storici e recenti presenti nell’area di Chicago, circa un terzo nidifica e depone uova in media un mese prima rispetto a un secolo fa. Sono specie come ad esempio la ghiandaia azzurra americana (Cyanocitta cristata), i warbler gialli (Setophaga petechia) e i passeri di campo (Spizella pusilla) che hanno modificato i loro comportamenti e i cui impatti rimangono ad oggi ancora sconosciuti.
La ricerca, pubblicata sul Journal of Animal Ecology, ha comparato dati dal 1880 ad oggi: e se a fine Ottocento-inizio Novecento le informazioni venivano catalogate “semplicemente” asportando il nido e classificandolo in piccole scatole di cartone, oggi i dati sono stati raccolti grazie all’utilizzo di piccoli specchietti installati sopra un lungo palo, metodo che ha permesso di arrivare sopra i nidi più alti senza spostarli, sorta di microspie poco invasive per capire cosa stesse succedendo lassù tra le foglie. E quello che i ricercatori hanno individuato è stata una corrispondenza tra l’anticipo nella costruzione del nido e l’aumento delle temperature.
Gli uccelli scelgono infatti il tempo giusto per costruire il nido in base ad altri fattori che annunciano la primavera, come ad esempio i germogli sulle piante e l’aumento nella disponibilità di insetti. Interazioni nei ritmi della natura di cui, come sappiamo, i cambiamenti climatici stanno stravolgendo le tempistiche. Non solo per gli uccelli. Gli orsi terminano in anticipo il letargo, e ciliegi, peschi, meli e pruni sono in fiore settimane prima rispetto ad anni fa. In Gran Bretagna, ad esempio, nel 2019 le piante sono entrate in fioritura un mese prima rispetto a quanto accadeva nel 1987.
Ma che impatti potrà mai avere l’anticipo di una nascita?
Nidificare con questo anticipo espone l’avifauna al rischio di quelle gelate che possono ancora manifestarsi, che hanno conseguenze sulla vita delle piante e degli insetti. E quindi, per quella che potremmo chiamare una “legge di transitività” che governa le profonde interrelazioni di un sistema naturale, gli impatti sugli uccelli e sul loro successo riproduttivo saranno inevitabili.
I curatori della ricerca, guidati dal professor John M. Bates, sanno che molti studi sono ancora necessari, ma questo scombussolamento nei ritmi delle stagioni è indubbiamente un fattore significativo nel declino di molte specie di uccelli, insieme ad altri fattori come la perdita di habitat specifici e l’utilizzo indiscriminato di pesticidi. Uno studio del 2020 ha rivelato come negli ultimi 50 anni più di 1 su 4 degli uccelli presenti siano scomparsi dai cieli di Stati Uniti e Canada, una perdita che ammonta a quasi 3 miliardi di esemplari soprattutto tra passeri, merli e fringuelli.
E se ci capiterà di fare loro caso, passeggiando in città o nelle periferie coltivate e notando in un inverno senza pioggia o neve o in una primavera esplosa troppo in fretta che “non ci sono più le stagioni di una volta”, forse nascerà in noi anche un sentimento di empatia che potrebbe avere il sopravvento: ci stiamo tutti arrabattando per sopravvivere, ma siamo noi umani a poter fare davvero qualcosa per rallentare – se invertire sembra parola troppo ottimistica – la rotta.
Articolo comparso su Unimondo.it