“Una catena alimentare da ripensare, al di là della guerra”
Fabio Ciconte, direttore di Terra, è autore del libro “Fragole d’inverno”, un’inchiesta sulla produzione agroalimentare italiana. “La guerra contingente ci permette di ripensare il mondo della catena alimentare. Se però parliamo del grano dobbiamo dirci che uno dei problemi più grossi che il grano duro ha dovuto affrontare è stato il periodo di siccità che c’è stato in Canada”.

L’agricoltura e gli altri usi della terra, secondo l’Ipcc, sono responsabili del 23% delle emissioni climalteranti. Una cifra che sale e arriva al 37% se si considera l’intera filiera alimentare. “Il libro ‘Fragole d’inverno’ nasce proprio dalla consapevolezza che molti dei problemi legati ai cambiamenti climatici ruotano attorno alla produzione alimentare”, spiega Fabio Ciconte, direttore di Terra, un’associazione ambientalista che dal 2008 è impegnata con progetti a tutela dell’ambiente, dei diritti dei lavoratori e dell’agricoltura biologica.
“Fragole d’inverno” (Editori Laterza, 2020), il cui sottotitolo è “Perché saper scegliere cosa mangiamo salverà il pianeta (e il clima)”, è un’inchiesta sulla produzione agroalimentare con diverse interviste a produttori ed esperti del settore. Ciconte è stato anche ospite di un incontro organizzato dalla CSA Naturalmente in Trentino.
“L’agricoltura – prosegue Ciconte – oltre a essere carnefice è anche vittima, perché paga un conto salato del cambiamento climatico: quando avvengono eventi meteorologici estremi è chiaro che questi si ripercuotono inevitabilmente sulla produzione agricola”.
“Fragole d’inverno” è chiaramente un ossimoro. “Le fragole sono un prodotto primaverile – spiega l’autore – e ‘Fragole d’inverno’ nasce come una provocazione nei confronti della nostra abitudine a pensare che possiamo trovare tutto e sempre, nel momento esatto in cui lo desideriamo”.
A chi si rivolge il volume? “Certamente al consumatore, ma non penso che sia lui ad avere il ruolo principale – afferma Fabio Ciconte -: oggi dobbiamo tornare ad essere abitanti e cittadini, non tanto consumatori, e cominciare a interrogarci e interrogare le istituzioni. Come si può farlo? Banalmente andando a votare e prendendo parola rispetto ai problemi del mondo”.

La guerra in Ucraina, gli obiettivi del Green Deal e la sovranità alimentare
Una questione sulla quale si sta interrogando e sta agendo l’associazione Terra è quella delle sue ripercussioni sulla filiera agroalimentare europea dovute alla guerra in Ucraina (ma, come ci spiega Ciconte, non solo e non soprattutto alla guerra in Ucraina).
“La guerra è dolorosa e deve finire subito – precisa Ciconte -, però d’altra parte viene usata in modo speculativo dal settore dell’agrobusiness, che vuole mettere da parte le norme di sostenibilità in campo agricolo e coltivare il più possibile nel nostro Paese e in generale in Europa. Questo però significa togliere e destinare alla produzione quella piccola percentuale di terreni che non sono coltivabili perché devono essere a riposo o a tutela della biodiversità: sarebbe un danno enorme”.
“La debolezza dei sistemi agroalimentari europei, resa evidente dagli effetti dei cambiamenti climatici, dalla pandemia da Covid-19 e dalla guerra in Ucraina – si legge nella lettera -, richiede una attenta analisi al fine di individuare le azioni in grado di garantire una sostenibilità ambientale, sociale ed economica a lungo termine”.
“Fino a oggi abbiamo affrontato i cambiamenti climatici come qualcosa di futuribile – commenta Fabio Ciconte – quando in realtà viviamo immersi nella crisi climatica. Ne stiamo già pagando il conto. Dobbiamo affrontare i problemi nella loro complessità: abbiamo una crisi climatica, una pandemia e una crisi energetica che precedono temporalmente la guerra”.
L’allarme lanciato dalle 17 associazioni firmatarie della lettera inviata a Draghi, Patuanelli e Cingolani è questo: “L’attuale tentativo da parte di alcuni gruppi di pressione di utilizzare in modo strumentale il dramma della guerra come pretesto per demolire le già osteggiate Strategie ‘Farm to Fork’ e ‘Biodiversità 2030’ indica chiaramente la non consapevolezza se non l’irresponsabilità rispetto alla gravità delle crisi ecologiche a livello globale e la persistente attribuzione di priorità ad immediati e specifici interessi economici”.
La soluzione non è quindi aumentare la produzione: “Dobbiamo invece produrre e consumare il nostro cibo in modo diverso – aggiungono le associazioni -. Questo potrà avvenire, da una parte, con politiche che favoriscano una riduzione delle produzioni intensive basate su materie prime importate da paesi extra UE, ad iniziare da quelle zootecniche, favorendo pratiche estensive su piccola scala e rispettose del benessere degli animali, attraverso una transizione giusta e rispettosa del diritto degli agricoltori ad avere un giusto reddito e, dall’altra, promuovendo diete più sane con una riduzione del consumo di carne e prodotti di origine animale e un aumento dei consumi delle proteine vegetali, di frutta e verdura”.
Viene citato anche il recente rapporto Ipcc, il quale afferma chiaramente che “mentre lo sviluppo agricolo contribuisce alla sicurezza alimentare, l’espansione agricola insostenibile, guidata in parte da diete squilibrate, aumenta la vulnerabilità umana e porta alla competizione per la terra e/o le risorse idriche”.
“La guerra contingente ci permette di ripensare il mondo della catena alimentare – commenta Ciconte -, un sistema insostenibile che non riguarda solo il grano. Se però parliamo del grano dobbiamo dirci che uno dei problemi più grossi che il grano duro ha dovuto affrontare è stato il periodo di siccità che c’è stato in Canada, che ha portato a una riduzione della produzione del 60 per cento. Questo per dire che è un sistema che va ripensato completamente, ma non a discapito della sostenibilità, perché altrimenti ciò che è successo in Canada si ripeterà”.
“Da una recente analisi di Ismea sugli impatti della guerra in Ucraina – spiegano infatti le 17 associazioni nella lettera – emerge che l’aumento dei prezzi dei cereali sia precedente e solo parzialmente imputabile al conflitto in corso e che sia piuttosto legato al calo della produzione globale dovuto proprio ai cambiamenti climatici, in particolare alla siccità che ha colpito il Canada abbattendo la sua produzione di grano duro del 60%”.